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venerdì 21 febbraio 2020
Il vascello affondato
All'inizio dello scorso secolo, probabilmente nel 1907, Amalia Guidotti abitava in una casa nel centro di Asti. Una donna più che normale, perfino un po' sciatta, senza particolari interessi. Con una modesta pensione, era aiutata da un nipote che a Torino gestiva un banco lotto e, si diceva, era riuscita a mettere insieme, con terni bene azzeccati, una piccola fortuna. Almeno una volta al mese, Amalia andava in un casolare isolato, presso Rocca d'Arazzo, in visita a Damianina, sua amica, nota con il soprannome di Edera. Vi erano, allora, non poche persone che si recavano da questa donna per una "seduta di fisica", come la definivano. Edera rimaneva assorta, gli occhi socchiusi, ascoltava ciò che la "cliente" le veniva raccontando, come in una confessione, del tutto spontanea, e si preparava a formulare un responso, a dare un suggerimento, visto che per tale motivo la donna era andata da lei. Il suo pubblico era infatti prevalentemente femminile.
In un quadernetto dalla copertina nera, lucida ma alquanto sgualcita, aveva annotato i nomi - con una specie di codice che soltanto lei conosceva - delle "pazienti". In un'epoca in cui l'astrologia non era in voga, Edera aveva segnato, accanto a ciascun nome, una data, quella di nascita, da cui deduceva il carattere, la tipologia, il probabile destino della cliente. Vicino al nome di Amalia G. (e la G. stava per Guidotti) aveva scritto: 7 ottobre. Ciò le bastava, forse, per formulare una sorta di oroscopo da sciorinare poi, goccia a goccia, non in una sola seduta, ma in più incontri, in modo da far meglio gustare sia la sua diagnosi sia il suo suggerimento principale, soprattutto per ricavarci qualche soldo in più, aumentando le consultazioni. Edera non era di eccezionale intelligenza ma non si può dire che fosse una sprovveduta.
La piccola casa a due piani, abitata da Edera, era riconoscibile per il tetto rosso vivo e per due ippocastani verso il sentiero, delimitato da una siepe gradita a pettirossi che spittinavano con vivacità quando qualcuno s'avvicinava.
Un pomeriggio d'inverno Amalia arrivò a casa di Edera e questa, come le altre vote, subito le preparò una tazza di caffè, poi fece la solita domanda: Amalia desiderava conoscere qualche cosa di specifico o preferiva "un'occhiata in generale" sulla sua situazione, casa, salute, denaro. Amalia in quel periodo non aveva nulla di particolare da chiedere e preferì tenersi sulle generali.
Edera si concentrò e unì le mani, come per predisporsi a pregare, quindi disse alla cliente di scegliere un numero, dall'uno al nove. Amalia scelse il tre. Trascorsero pochi secondi e, quasi automaticamente, la sua mano si mosse verso una matita presente sul tavolo accanto a un taccuino. Afferrò la matita e sul primo foglio del taccuino tracciò un tre. Non si sarebbe potuto dire quale delle due donne fosse la più assorta. A differenza delle altre volte, Amalia si sentiva - lo spiegò poi - come "ondeggiante nello spazio, lieve come una piuma".
Con gli occhi serrati, vedeva proiettarsi nella sua mente immagini fluttuanti, colorate d'un rosso cupo. La mano che stringeva la matita tracciò alcune righe, dapprima incerte e, quindi, più marcate. Amalia ebbe poi l'impressione di aver riprodotto sulla carta, alla buona, considerando che in disegno valeva assai poco e perciò non avrebbe neppur saputo riprodurre un albero, quanto vedeva nella mente.
Dei suoi incontri con Edera quello fu il più strano ed Edera stessa non seppe dargliene spiegazione.
Qualche giorno dopo, Amalia uscì per alcune compere e a breve distanza da casa sua si soffermò davanti alla vetrina di una cartoleria. Fra i molti oggetti esposti vi era una nave, un veliero racchiuso in una bottiglia, tipo di soprammobile abbastanza vecchio, che di tanto in tanto torna di moda. Amalia fissò quel veliero, imprimendoselo bene in mente. Alla base, di legno verniciato, recava scritto 1858.
Tornata a casa continuò a pensare a quella nave, stupita di non riuscire a togliersela di mente. Per il resto della giornata, mentre accudiva alle faccende di casa e poi, più tardi, quando sedette nella sua poltrona abituale per andare avanti nel lavoro all'uncinetto che stava facendo da alcuni giorni, era come ossessionata da quella bottiglia con dentro il veliero. E meditava anche su quell'anno, 1858.
Si domandava ancora il motivo di quell'interesse, quando posò gli occhi sul foglio con lo scarabocchio da lei tracciato quand'era in casa di Edera. Non le sembrarono più segni indecifrabili ma, osservandoli con attenzione, notò come quei tratti di matita quasi profilassero un veliero, un tre alberi, in tutto simile a quello visto in vetrina, racchiuso nella bottiglia.
Nella mente di Amalia si scatenò una rapida successione di immagini. Rivide il veliero, come se lo avesse dinnanzi, e le parve che la nave fosse in difficoltà, quasi sul punto di rovesciarsi in un mare tempestoso. Ora "vedeva" la nave dall'esterno, come spettatrice, ora con terrore, si sentiva coinvolta in quella tragedia; "vedeva" se stessa sulla tolda, con l'acqua che le pioveva addosso da ogni lato. Come nel bagliore d'un lampo, Amalia si vide alla testa di una ciurma furibonda, impossibile a frenarsi. Si sentiva il comandante di quella nave allo stremo, capitano d'una masnada in delirio. Quando si riprese, il ricordo di ciò che aveva "visto" le era rimasto nitido, in ogni particolare.
Amalia, da allora, parlò con taluni, soprattutto con due amiche, di quella singolare esperienza e ne trasse la conclusione che si trattava dello spezzone di un film realmente vissuto, già sofferto, ma quando? Ad Asti qualcuno disse che la donna "aveva subito il riflesso di un'altra vita, quando si era trovata su una nave, di cui era responsabile, comandante, un'esistenza poi conclusasi in modo drammatico". Una testimonianza, dunque, di un forte "precedente", una remota rimembranza, sbocciata all'improvviso, di qualcosa avvenuto molto tempo prima e che coinvolse Amalia, qualcosa in un certo modo indelebile. Quando? Impossibile dirlo. Quell'incerta esperienza le si era comunque assopita nella mente e, in maniera altrettanto enigmatica, la seduta da Edera ne aveva fatto scattare il ricordo.
La donna provò una strana soddisfazione, quando si parlò della sua storia, nel sentirsi al centro di un interesse e di una curiosità che si ingigantirono qauanto più quella faccenda passava di bocca in bocca arricchendosi di particolari a cui lei non avrebbe mai pensato, inventati per quei giochi in cui la fantasia popolare sembra a volte insuperabile. Per la gente era la donna che, in un'altra esistenza, aveva comandato un vascello andato a fondo, chissà dove e chissà quando, forse in quel 1858, l'anno indicato alla base del modellino.
Nel 1944 Amalia morì. In quell'anno difficile, un tormentato anno di guerra, pochi ad Asti ricordavano ancora quell'episodio, noto soltanto ai più anziani. Due anni dopo se ne andò da questo mondo anche Edera, ormai molto vecchia. Così svanì e si perse la storia del vascello.
TRATTO DAL LIBRO "PIEMONTE MAGICO E MISTERIOSO", di Renzo Rossotti, Newton Compton Editori.
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