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mercoledì 16 ottobre 2019

Il faggio di Rocchetta


Un tetto verde smeraldo, un intreccio di rami, con alberi d'alto fusto che hanno non poche storie da raccontare. Il parco di Rocchetta Tanaro è la prima area protetta in Provincia di Asti, con centoventi ettari di bosco, zona verde ideale per chi ama l'equitazione. Gli scoiattoli s'arrampicano sui rami, incuriositi dall'arrivo di qualcuno, pronti con un balzo a raggiungere il fogliame in cui si mimetizzano.

Il parco è legato a un antro misterioso, a una strega, alla fine di due fratelli inquieti a cui Torino dedicò anche una breve strada, non lontano dall'Università di via Po.

Del grande giardino di Rocchetta Tanaro ispiratore fu il marchese Mario Incisa della Rocchetta il quale, dopo oasi e parchi che a Bolgheri e in vaste zone della Toscana hanno salvato preziosi lembi di verde marittimo e numerose specie di avifauna mediterranea, pensò e stimolò la protezione di questa area piemontese, che ben conosceva, finchè già feudo del suo nobile casato e di cui intuiva il valore scientifico ed ecologico.

Fu poi impegno e lavoro comune di amministratori e della Regione Piemonte raccogliere quel messaggio e tradurlo in realtà con la legge regionale che istituì il parco naturale di Rocchetta Tanaro, che si fa ammirare per i boschi digradanti verso il fiume Tanaro e i corsi d'acqua demaniali Rabengo e Rossinaggio che ne delimitano i confini: una grande macchia di verde in cui tratti di ceduo a castagno si abbinano ad annose fustaie di farnie, cerri, roverelle e al secolare "grande faggio"; nel sottobosco con cento fiori ed erbe, sbocciano il giglio rosso e l'orchidea purpurea.

Brevi chiazze di vigneti e seminativi offrono squarci di luce e tra i rami affiorano i "coppi" di qualche vecchio cascinale semi abbandonato e della "casa del Parco", base operativa e soggiorno per piccoli gruppi di studio.
Lo scoiattolo, il ghiro, il tasso, il moscardino e l'abbondante microfauna devono difendersi dalla volpe, così come debbono fare gli agricoltori delle cascine situate ai bordi del parco, al fine di proteggere i pollai dalle incursioni notturne di questo predatore. Storia antica quella della volpe che fa razzia di ciò che trova, gatti compresi.
Da un'iniziale ostilità degli abitanti, soliti a cacciare il "diavolo delle colline", prima dell'istituzione del Parco, si sta passando a forme di difesa "passive" che, proteggendo gli animali domestici delle cascine, spingono il predatore a svolgere la sua naturale funzione nel territorio del parco.
All'intenso fervore della vita del bosco, fa eco il mormorio delle acque del Tanaro, dei ruscelli, del guado e della possente sorgente della "Canà".

Nella visita al parco è d'obbligo andare al passo perchè gli scorci panoramici non mancano: lo sfondo è formato da roveri e castagni, faggi, olmi, aceri, un sottobosco fatto di centinaia di varietà di erbe e di fiori. Per trovare i sentieri ci sono i guardaparco che fanno da guida tra gli itinerari dai nomi curiosi: val du topin, val d'la lesca, val du luv, una toponomastica che la tradizione contadina ha stilato in base alle caratteristiche del paesaggio e a vecchie leggende. 

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