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giovedì 7 aprile 2022

La Dania a Mombercelli

 

Ne parlano gli anziani, qualcuno di loro almeno, se si riesce a coglierlo nella serata giusta, davanti a un buon bicchiere, mentre la nebbia corre sui prati, vela la luna e si sfrangia sui rami. Allora torna la Dania a cercare il suo noce che non c'è più e tra le zolle smosse par di veder rilucere la cavallina d'oro dagli occhi di diamante. Fra i casolari sfumati nel verde, dove il gufo lancia il suo richiamo e il barbagianni lo raccoglie, a Mombercelli sembra condensarsi il magico dell'Astigiano, qui più che altrove. L'atmosfera arcana e rarefatta avvolge chi ha il cuore stretto dai pensieri e gli infonde la certezza di riuscire, in tutto, come se si abbeverasse a una sorgente miracolosa. 

Nella frazione Roeto si trova una cascina antica che ha sparsi intorno a sé i resti di abitazioni ancora più antiche. Apparteneva un tempo agli Squillari, il cui padre, il patriarca, era un certo Carlo dla sèra che diede poi il nome alla zona, Serra delle Quaglie, poi passò alla famiglia Dania. Oggi è indicata come Cà Dania, ossia Casa Dania. Davanti alla cascina vi era un grosso noce sotto il quale la vecchia Dania andava a cucire, a sbucciare le patate o a fare altri lavori. L'albero fu abbattuto, non si sa bene quando, ma molti affermano che all'imbrunire è ancora possibile vedere la vecchia al solito posto che lavora, rimpiangendo i giorni lontani e il noce ombroso. Nella medesima zona, presso la cascina Serra delle Quaglie, c'è la Valle del Demonio. All'inizio dell'Ottocento era di stanza nella zona un presidio di francesi, piuttosto arroganti con la popolazione. Un giorno inseguirono alcuni contadini fino a una vallata stretta fra le colline. Gli abitanti del luogo tesero allora un'imboscata e i francesi, affrontati con pali strappati dalle vigne, se la sarebbero vista brutta se non fossero giunti rinforzi. Il massacro fu evitato per intervento della autorità locali. Pace fu fatta e suggellata con un pranzo in una delle valli vicine, che allora prese il nome di Valle del Pranzo, che confina con quella del Demonio. In questo fiorire di episodi, reali secondo alcuni abitanti di Mombercelli, anche se inducono a pensare a leggende, c'è lo smarrimento, o il furto, di un prezioso talismano: una cavallina d'oro che aveva per occhi due diamanti; sarebbe appartenuta addirittura a Napoleone. I francesi avevano con sé il talismano ma lo persero durante il pranzo, forse distratti dalle abbondanti libagioni. Chi riuscì a mettere le mani sulla cavallina, decise di sotterrarla per impedire a chiunque di impossessarsene. L'oggetto, a cui si attribuivano proprietà magiche - doveva soprattutto recare influssi benefici al possessore - da quel momento scomparve. Ancora oggi, a Mombercelli, i contadini quando lavorano la terra e la rivoltano per fare gli scassi per le vigne, guardano le zolle con attenzione: potrebbe emergere dal suolo la cavallina, preziosa tanto come monile quanto come portafortuna.

La strade della Serra delle Quaglie, che praticamente passa sotto la cascina dei Dania, era la via principale, oggi del tutto inaccessibile, che collegava Mombercelli con Castello d'Annone e quindi con la strada per Asti-Torino. I carrettieri la conoscevano come "Strada del sale" perché arrivava da Savona fino lì. Non va tralasciata una catena di strani fenomeni legati a una collina a breve distanza da Casa Dania. La piccola altura assume alla sommità l'aspetto di un tumulo appiattito; è il Pian dello Scoppio e l'origine del nome è sconosciuta. Qui dovrebbe essere avvenuta un'esplosione, ma il fatto non trova una registrazione, un dato storico che lo spieghi. Nessuno ha mai scavato nel tumulo e non si sa che cosa racchiuda. Tra i quattro castelli che sorgono nella zona, c'è spazio anche per le masche, che nel panorama astigiano paiono sovrapporsi meglio nell'immagine arietina del "dio cornuto" di molte popolazioni celtiche e delle isole britanniche. Le masche di Mombercelli, infatti, assumono nel racconto degli anziani l'aspetto caprino. Nella metà dell'Ottocento nessuno, dopo il tramonto, si azzardava a transitare davanti al camposanto. Un contadino nella frazione Roeto, dopo mezzanotte, si trovò nei pressi del cimitero di Mombercelli, situato dove ora vi è il peso pubblico. Allora in quei paraggi sorgeva anche una cappella, detta di San Sebastiano, già abitata da un eremita. Il brav'uomo si sentì vacillare le gambe: avvertì sul collo un alito caldo e affannoso e sulle spalle si posarono due zampe di capra. Senza voltarsi, accellerò il passo e quando giunse nella frazione La Piana, alle prime case, si voltò ma non vide nulla. Dove scorre il torrente, nella strada sottostante la cascina, sempre la stessa, in estate oscillano a mezz'aria fuochi fatui, ad accentuare l'atmosfera del posto. Ma a Mombercelli c'è pure la storia del giaguaro che si aggirava nei boschi, avvolto da uno strano alone, come fosse stato fosforescente. Gli occhi accesi, i denti pronti all'assalto, rammenta, nelle descrizioni che ne fanno, il "mastino dei Baskerville" di cui narra Conan Doyle e che eccitò lo spirito da investigatore di Sherlock Holmes. Di quell'animale si sa poco ma a Mombercelli vi fu chi munì il proprio cane di un collare di aculei, perché fosse protetto e in grado di contrattaccare il giaguaro diabolico. Una notte venne anche organizzata una battuta per catturare la belva fosforescente, ma i cacciatori tornarono a casa delusi. L'ultima volta sarebbe stata vista, secondo taluni, nel settembre del 1949. Fu la visione di un istante, poi disparve lasciando nell'aria un penetrante odore di zolfo.


TRATTO DAL LIBRO "PIEMONTE MAGICO E MISTERIOSO", di Renzo Rossotti, Newton Compton Editori. 

venerdì 21 febbraio 2020

Il vascello affondato


All'inizio dello scorso secolo, probabilmente nel 1907, Amalia Guidotti abitava in una casa nel centro di Asti. Una donna più che normale, perfino un po' sciatta, senza particolari interessi. Con una modesta pensione, era aiutata da un nipote che a Torino gestiva un banco lotto e, si diceva, era riuscita a mettere insieme, con terni bene azzeccati, una piccola fortuna. Almeno una volta al mese, Amalia andava in un casolare isolato, presso Rocca d'Arazzo, in visita a Damianina, sua amica, nota con il soprannome di Edera. Vi erano, allora, non poche persone che si recavano da questa donna per una "seduta di fisica", come la definivano. Edera rimaneva assorta, gli occhi socchiusi, ascoltava ciò che la "cliente" le veniva raccontando, come in una confessione, del tutto spontanea, e si preparava a formulare un responso, a dare un suggerimento, visto che per tale motivo la donna era andata da lei. Il suo pubblico era infatti prevalentemente femminile.
In un quadernetto dalla copertina nera, lucida ma alquanto sgualcita, aveva annotato i nomi - con una specie di codice che soltanto lei conosceva - delle "pazienti". In un'epoca in cui l'astrologia non era in voga, Edera aveva segnato, accanto a ciascun nome, una data, quella di nascita, da cui deduceva il carattere, la tipologia, il probabile destino della cliente. Vicino al nome di Amalia G. (e la G. stava per Guidotti) aveva scritto: 7 ottobre. Ciò le bastava, forse, per formulare una sorta di oroscopo da sciorinare poi, goccia a goccia, non in una sola seduta, ma in più incontri, in modo da far meglio gustare sia la sua diagnosi sia il suo suggerimento principale, soprattutto per ricavarci qualche soldo in più, aumentando le consultazioni. Edera non era di eccezionale intelligenza ma non si può dire che fosse una sprovveduta.
La piccola casa a due piani, abitata da Edera, era riconoscibile per il tetto rosso vivo e per due ippocastani verso il sentiero, delimitato da una siepe gradita a pettirossi che spittinavano con vivacità quando qualcuno s'avvicinava.

Un pomeriggio d'inverno Amalia arrivò a casa di Edera e questa, come le altre vote, subito le preparò una tazza di caffè, poi fece la solita domanda: Amalia desiderava conoscere qualche cosa di specifico o preferiva "un'occhiata in generale" sulla sua situazione, casa, salute, denaro. Amalia in quel periodo non aveva nulla di particolare da chiedere e preferì tenersi sulle generali.
Edera si concentrò e unì le mani, come per predisporsi a pregare, quindi disse alla cliente di scegliere un numero, dall'uno al nove. Amalia scelse il tre. Trascorsero pochi secondi e, quasi automaticamente, la sua mano si mosse verso una matita presente sul tavolo accanto a un taccuino. Afferrò la matita e sul primo foglio del taccuino tracciò un tre. Non si sarebbe potuto dire quale delle due donne fosse la più assorta. A differenza delle altre volte, Amalia si sentiva - lo spiegò poi - come "ondeggiante nello spazio, lieve come una piuma".
Con gli occhi serrati, vedeva proiettarsi nella sua mente immagini fluttuanti, colorate d'un rosso cupo. La mano che stringeva la matita tracciò alcune righe, dapprima incerte e, quindi, più marcate. Amalia ebbe poi l'impressione di aver riprodotto sulla carta, alla buona, considerando che in disegno valeva assai poco e perciò non avrebbe neppur saputo riprodurre un albero, quanto vedeva nella mente.
Dei suoi incontri con Edera quello fu il più strano ed Edera stessa non seppe dargliene spiegazione.

Qualche giorno dopo, Amalia uscì per alcune compere e a breve distanza da casa sua si soffermò davanti alla vetrina di una cartoleria. Fra i molti oggetti esposti vi era una nave, un veliero racchiuso in una bottiglia, tipo di soprammobile abbastanza vecchio, che di tanto in tanto torna di moda. Amalia fissò quel veliero, imprimendoselo bene in mente. Alla base, di legno verniciato, recava scritto 1858.
Tornata a casa continuò a pensare a quella nave, stupita di non riuscire a togliersela di mente. Per il resto della giornata, mentre accudiva alle faccende di casa e poi, più tardi, quando sedette nella sua poltrona abituale per andare avanti nel lavoro all'uncinetto che stava facendo da alcuni giorni, era come ossessionata da quella bottiglia con dentro il veliero. E meditava anche su quell'anno, 1858.
Si domandava ancora il motivo di quell'interesse, quando posò  gli occhi sul foglio con lo scarabocchio da lei tracciato quand'era in casa di Edera. Non le sembrarono più segni indecifrabili ma, osservandoli con attenzione, notò come quei tratti di matita quasi profilassero un veliero, un tre alberi, in tutto simile a quello visto in vetrina, racchiuso nella bottiglia.
Nella mente di Amalia si scatenò una rapida successione di immagini. Rivide il veliero, come se lo avesse dinnanzi, e le parve che la nave fosse in difficoltà, quasi sul punto di rovesciarsi in un mare tempestoso. Ora "vedeva" la nave dall'esterno, come spettatrice, ora con terrore, si sentiva coinvolta in quella tragedia; "vedeva" se stessa sulla tolda, con l'acqua che le pioveva addosso da ogni lato. Come nel bagliore d'un lampo, Amalia si vide alla testa di una ciurma furibonda, impossibile a frenarsi. Si sentiva il comandante di quella nave allo stremo, capitano d'una masnada in delirio. Quando si riprese, il ricordo di ciò che aveva "visto" le era rimasto nitido, in ogni particolare.
Amalia, da allora, parlò con taluni, soprattutto con due amiche, di quella singolare esperienza e ne trasse la conclusione che si trattava dello spezzone di un film realmente vissuto, già sofferto, ma quando? Ad Asti qualcuno disse che la donna "aveva subito il riflesso di un'altra vita, quando si era trovata su una nave, di cui era responsabile, comandante, un'esistenza poi conclusasi in modo drammatico". Una testimonianza, dunque, di un forte "precedente", una remota rimembranza, sbocciata all'improvviso, di qualcosa avvenuto molto tempo prima e che coinvolse Amalia, qualcosa in un certo modo indelebile. Quando? Impossibile dirlo. Quell'incerta esperienza le si era comunque assopita nella mente e, in maniera altrettanto enigmatica, la seduta da Edera ne aveva fatto scattare il ricordo.
La donna provò una strana soddisfazione, quando si parlò della sua storia, nel sentirsi al centro di un interesse e di una curiosità che si ingigantirono qauanto più quella faccenda passava di bocca in bocca arricchendosi di particolari a cui lei non avrebbe mai pensato, inventati per quei giochi in cui la fantasia popolare sembra a volte insuperabile. Per la gente era la donna che, in un'altra esistenza, aveva comandato un vascello andato a fondo, chissà dove e chissà quando, forse in quel 1858, l'anno indicato alla base del modellino.
Nel 1944 Amalia morì. In quell'anno difficile, un tormentato anno di guerra, pochi ad Asti ricordavano ancora quell'episodio, noto soltanto ai più anziani. Due anni dopo se ne andò da questo mondo anche Edera, ormai molto vecchia. Così svanì e si perse la storia del vascello.



TRATTO DAL LIBRO "PIEMONTE MAGICO E MISTERIOSO", di Renzo Rossotti, Newton Compton Editori. 

mercoledì 16 ottobre 2019

Il faggio di Rocchetta


Un tetto verde smeraldo, un intreccio di rami, con alberi d'alto fusto che hanno non poche storie da raccontare. Il parco di Rocchetta Tanaro è la prima area protetta in Provincia di Asti, con centoventi ettari di bosco, zona verde ideale per chi ama l'equitazione. Gli scoiattoli s'arrampicano sui rami, incuriositi dall'arrivo di qualcuno, pronti con un balzo a raggiungere il fogliame in cui si mimetizzano.

Il parco è legato a un antro misterioso, a una strega, alla fine di due fratelli inquieti a cui Torino dedicò anche una breve strada, non lontano dall'Università di via Po.

Del grande giardino di Rocchetta Tanaro ispiratore fu il marchese Mario Incisa della Rocchetta il quale, dopo oasi e parchi che a Bolgheri e in vaste zone della Toscana hanno salvato preziosi lembi di verde marittimo e numerose specie di avifauna mediterranea, pensò e stimolò la protezione di questa area piemontese, che ben conosceva, finchè già feudo del suo nobile casato e di cui intuiva il valore scientifico ed ecologico.

Fu poi impegno e lavoro comune di amministratori e della Regione Piemonte raccogliere quel messaggio e tradurlo in realtà con la legge regionale che istituì il parco naturale di Rocchetta Tanaro, che si fa ammirare per i boschi digradanti verso il fiume Tanaro e i corsi d'acqua demaniali Rabengo e Rossinaggio che ne delimitano i confini: una grande macchia di verde in cui tratti di ceduo a castagno si abbinano ad annose fustaie di farnie, cerri, roverelle e al secolare "grande faggio"; nel sottobosco con cento fiori ed erbe, sbocciano il giglio rosso e l'orchidea purpurea.

Brevi chiazze di vigneti e seminativi offrono squarci di luce e tra i rami affiorano i "coppi" di qualche vecchio cascinale semi abbandonato e della "casa del Parco", base operativa e soggiorno per piccoli gruppi di studio.
Lo scoiattolo, il ghiro, il tasso, il moscardino e l'abbondante microfauna devono difendersi dalla volpe, così come debbono fare gli agricoltori delle cascine situate ai bordi del parco, al fine di proteggere i pollai dalle incursioni notturne di questo predatore. Storia antica quella della volpe che fa razzia di ciò che trova, gatti compresi.
Da un'iniziale ostilità degli abitanti, soliti a cacciare il "diavolo delle colline", prima dell'istituzione del Parco, si sta passando a forme di difesa "passive" che, proteggendo gli animali domestici delle cascine, spingono il predatore a svolgere la sua naturale funzione nel territorio del parco.
All'intenso fervore della vita del bosco, fa eco il mormorio delle acque del Tanaro, dei ruscelli, del guado e della possente sorgente della "Canà".

Nella visita al parco è d'obbligo andare al passo perchè gli scorci panoramici non mancano: lo sfondo è formato da roveri e castagni, faggi, olmi, aceri, un sottobosco fatto di centinaia di varietà di erbe e di fiori. Per trovare i sentieri ci sono i guardaparco che fanno da guida tra gli itinerari dai nomi curiosi: val du topin, val d'la lesca, val du luv, una toponomastica che la tradizione contadina ha stilato in base alle caratteristiche del paesaggio e a vecchie leggende. 

venerdì 26 luglio 2019

Il fantasma di Umberto II ad Asti



Il fantasma del Re Umberto II di Savoia si aggirerebbe nel centro di Asti. Qualche tempo fa, dopo diverse segnalazioni e presunti avvistamenti, venne alla ribalta questa notizia che fece non poco scalpore, riportata sui media locali e addirittura nazionali. Inevitabili da allora tra gli abitanti della zona i dibattiti tra chi pensa che possa essere vero e tra gli scettici.

Elegante ed educato, come si conviene a un re. In tre occasioni, probabilmente quattro, sarebbe comparso all’imbrunire nella centrale piazza San Secondo chiedendo informazioni. Nulla di strano se non che a vagare nel municipio di Asti e dintorni non sarebbe un normale passante ma appunto un fantasma, nemmeno un comune fantasma (si fa per dire) ma proprio quello di Umberto II di Savoia (morto nel 1983), esiliato dall’Italia nel lontano 13 giugno 1946. Fu luogotenente generale del Regno d’Italia dal 1944 al 1946 e ultimo re d’Italia, dal 9 maggio 1946 al 18 giugno dello stesso anno. Per il breve regno (poco più di un mese), è anche detto il «re di maggio».

A caccia di indizi, sono arrivati in città anche i «ghosthunters» del National Ghost Uncover. Era il novembre del 2015. L’associazione ha sede a Riccione ed è presieduta da Massimo Merendi, consulente che vive tra la Romagna e il Principato di Monaco: con altri 85 iscritti, metà scettici, dal 2010 documenta e censisce presunti avvistamenti e apparizioni. Del resto il lavoro pare non mancare: 1860 le segnalazioni (alieni compresi) pervenute. In genere, a manifestarsi sembrano essere illustri personaggi storici: da Federico II di Svevia avvistato a Bari, a Francesco Morosini 108º doge della Repubblica di Venezia intercettato in laguna. Ad Asti si sarebbe presentato invece Umberto II.

LE SEGNALAZIONI

Almeno quattro gli episodi segnalati, con versioni ritenute concordanti ma non prive di contraddizioni e refusi storici. In Umberto II, in abiti borghesi, nell’androne del municipio, nel 2011 si sarebbe imbattuto un dipendente comunale: «Il testimone ha fatto riferimento a Umberto di Savoia che si è presentato come Principe di Napoli, titolo che apparteneva invece al padre - ammette Merendi - È descritto come una figura imponente, più del naturale, ha chiesto indicazioni su una antica famiglia proprietaria di un palazzo nel vicino corso Vittorio Alfieri». Fornendo tra l’altro il vecchio numero civico, come confermano tre donne, tra cui la moglie di un consigliere comunale: pochi metri più in là rispetto la prima apparizione, sostengono di aver scorto un’ombra nell’agosto 2012, sempre attorno alle 20.
Nessuna notizia del fantasma fino al 4 settembre del 2015 quando, una commerciante ed un amico albese, avrebbero incontrato una «nebulosa», ferma sempre davanti al municipio, vicino la lapide in memoria dei caduti. Infine, ai primi di novembre, una donna ha raccontato di aver avuto un breve dialogo in un ufficio del Comune con il «re di maggio», che negli Anni 30 assistette ad una corsa del Palio.

L'ennesimo episodio ha spinto cosi a segnalarlo all'associazione di ghosthunters, la quale ha fatto i suoi rilevamenti e la questione del presunto fantasma del Re ad Asti è finita perfino sui giornali.

Da allora, non si è più avuta notizia di nuovi fenomeni o aggiornamenti sulle indagini svolte, mentre nel capoluogo astigiano il dibattito è ancora aperto.


giovedì 7 luglio 2011

Crop Circles, gli ultimi spettacolari pittogrammi del grano comparsi nell'astigiano: i casi del 2011 e 2013


La notte tra il 19 e il 20 giugno 2011, un bellissimo crop circle eptagramma dal diametro di circa 100 metri è comparso in un campo di grano nella campagna tra Riva presso Chieri e Poirino, proprio in un terreno che fiancheggia l'autostrada Torino-Piacenza, precisamente nel tratto Asti-Moncalieri.

Il cerchio nel grano sembra essere stato ancora più bello di quello comparso nel giugno 2010 a Poirino, sempre nelle vicinanze di quest'ultimo, allora i carabinieri intimarono ai proprietari di chiudere l'area ai visitatori e di mietere subito il campo dove sorse il pittogramma.

Dettagli dell'ultimo pittogramma del 2011, le spighe sono risultate piegate alla base e non spezzate, in modo complesso, a conferma del fatto che l'uomo non sarebbe in grado di produrre un cerchio del genere e così ben lavorato. Non sono stati trovati neanche segni di pali nel terreno o assi di legno.

Nessun segno di movimento avvertito dagli abitanti della zona e dagli automobilisti quella sera nel posto.
Alcune segnalazioni parlano di strane sfere di luce avvistate in cielo la sera prima sopra il luogo dove è comparso il crop circles.

Ecco alcune foto del Crop.





Segue un video tratto da Youtube con una raccolta fotografica



Si tratta del quinto enorme crop comparso in pochi anni in questi luoghi, dopo quelli di Poirino del 2006 e 2007, di Villanova del 2008 e di nuovo di Poirino del 2010, a ulteriore conferma che la zona al confine tra le provincie di Torino, Asti e Cuneo risulta essere tra le più prolifiche (se non la più prolifica) d'Italia riguardo alla comparsa di cerchi nel grano, che sono anche tra i più belli e lavorati al mondo, tanto da far concorrenza a quelli inglesi. In particolare questi ultimi tre crop, risultano essere i più bei pittogrammi di sempre che siano mai apparsi nel nostro paese.

Le provincie di Torino, Cuneo, Asti e Alessandria si possono definire "la zona dei crop circles italiani".


Alcuni link al riguardo

- http://www.margheritacampaniolo.it/crop_circles_2011/poirino_2011_news.htm
- http://www.margheritacampaniolo.it/crop_circles_2011/poirino_2011_aggiornamento.htm
- http://www.margheritacampaniolo.it/crop_circles_2011/poirino2011.htm


- http://www.ufoonline.it/2011/06/22/nuovo-crop-circle-a-poirino-nei-pressi-di-torino/

- http://indigesti.forumcommunity.net/?t=46506061

- http://vimeo.com/25731993


AGGIORNAMENTO

A fine giugno del 2013 un nuovo pittoresco e affascinante cerchio nel grano è comparso nei pressi di Robella, sempre nell'astigiano. 




Ecco un video di youtube e alcuni articoli in merito, comprendenti anche interpretazioni sul significato del disegno.

https://youtube.com/watch?v=UAjdDABJQuw 

http://www.meteoweb.eu/2013/07/cerchi-nel-grano-a-robella-il-mistero-si-infittisce-tutte-le-foto-del-disegno/213165/

https://altrarealta.blogspot.com/2013/07/cerchio-nel-grano-robella-asti.html?m=1

https://www.federazioneufologicaitaliana.org/cerchio-nel-grano-robella-dasti-29-06-2013-secondo-tassello/ 

martedì 17 maggio 2011

Luoghi infestati dell'astigiano - Tra leggende metropolitane e realtà




VALLE DEI GUARALDI, OTTIGLIO (tra la provincia di Asti e quella di Alessandria)

In questa valle sorge un antico tempio costruito nel sottosuolo. La costruzione era
dedicata al Dio del Sole, Mitrà.
Durante il solstizio d'inverno, sono stati notati diverse volte gli spettri di uomini molto alti e con lunghe barbe. Indossano delle tuniche bianche e, mentre procedono, delle ragazzine
in abiti rossi spargono petali di fiori dinnanzi a loro.
Questa processione percorre tutta la valle e sparisce tra gli alberi cantando a bassa voce e scandendo il nome di Mitrà.


Nella valle sono presenti inoltre le "Grotte dei Saraceni".

Ecco un articolo al riguardo: http://www.casalenews.it/cultura/la-leggenda-delle-grotte-dei-saraceni-di-ottiglio-29234.html


LA CASA DEI FANTASMI DI NIZZA MONFERRATO

In questa abitazione privata (denominata "Cascina Stebava"), nella quale i padroni vengono solo poche volte durante l’anno, succederebbero secondo testimonianze locali fenomeni inspiegabili. La casa, recentemente ristrutturata, è conosciuta popolarmente anche come “La casa dei fantasmi” o "La casa degli spiriti". Infatti, molti hanno dichiarato (compresi i muratori) che al suo interno ci sarebbero veramente inquietanti presenze. Molti hanno detto di aver visto interruttori della luce spegnersi o accendersi da soli, spostamenti di oggetti, passi, voci e rumori di catene provenienti dalla cantina. Addirittura secondo alcune voci, certi muratori che durante i lavori avrebbero dormito all'interno dell'abitazione, avrebbero assistito alle coperte delle brande che si toglievano da sole. I fenomeni avverrebbero prevalentemente nella notte. Alcuni dicono che quella casa fu un convento di frati, frati che vennero imprigionati proprio nelle cantine e che fecero morti violente, come l’impiccagione. Ma fenomeni pare che si siano verificati anche all’esterno. Davanti a quella casa si sarebbe verificato un incidente stradale, avvenuto di sera, in cui persero la vita due ragazze, tuttavia riguardo a questo incidente non si trova nulla, probabilmente si tratta di una voce messa in giro per alimentare la credenza. Anche se, casi di incidenti nei pressi di quella casa pare si siano verificati davvero; la casa in effetti si trova proprio a ridosso di un tornante, da qui viene anche il nome "La casa nella curva". Certi hanno inoltre dichiarato che di sera sono state avvistate di fronte a quella casa due ragazze dal volto pallido cadaverico fare l’autostop. Altri ancora dichiarano che un giorno, mentre dalle altre parti aveva smesso di nevicare, nevicò per un po’ soltanto sopra a quella casa. Nel giardino adiacente, vi è anche un pozzo, in cui sarebbe morto un bambino finitoci dentro nel mentre cercava di prendere una palla.

Diverse persone considerano quella casa veramente ‘stregata’.

Sono molte le testimonianze locali, le voci si rincorrono, ma di certezze assolute ce ne sono poche. Per ora resta una leggenda metropolitana del posto. Sono state anche fatte indagini di gruppi di ghosthunters, tuttora in corso.


ALTRE CASE INFESTATE

D'altronde non è l'unica casa della cittadina su cui si rumoreggia. Almeno altre due case secondo alcuni sarebbero infestate, tra le quali spicca una casa abbandonata in stile ottocentesco in "Regione San Nicolao" e una che sarebbe frequentata dai satanisti.

Invece, sulla strada verso Canelli in località "San Giovanni", già comune di Calamandrana, vi è una casa abbandonata conosciuta come "La casa dei bambini che piangono", segnalata proprio su questo blog.


CASTELLO DI CORTANZE

La leggenda narra che la torre del castello ospiti il fantasma di una giovane donna, Viola Maria Galante, figlia del marchese Ercole Roero, morta giovanissima dopo una triste vicenda di amore e morte. Viola si era innamorata fino alla follia del giovane parroco (il campanile della chiesa è proprio dirimpetto alla torre); dopo l'uccisione di questo (per mano della giovane non corrisposta o dell’infuriato padre a seconda delle versioni) Viola, rinchiusa nella torre, non trovò più pace neppure da morta.

CASTELLO DI PIEA

In questo splendido castello immerso tra le colline del Monferrato, si narra che vaghi il fantasma della nobile Orsola e di sua figlia (conosciuto come il fantasma della Dama Bianca), ultima discentente dei Roero morta a soli 24 anni nel 1796 mentre dava alla luce una bambina, vissuta pochi minuti. Gli inquilini proprietari dal 1995, asseriscono di avvertire la presenza tra le mura del castello, nelle notti illuminate dalla luna, che vagherebbe tra le stanze per poi affacciarsi da un balcone, sul quale dicono di averla fotografata. Eventi e testimonianze hanno indotto un team del paranormale a fare indagini, nelle quali grazie alle strumentazioni sono stati riscontrati dati molto interessanti in merito. Per approfondire: https://www.e-borghi.com/it/curiosit/725/piea-ed-il-suo-castello-piccolo-borgo-tra-monferrato-e-misteri.html (E' presente anche un video indagine del team in questione. Inoltre sul web sono presenti altri video di diversi team sul paranormale fatti in questo castello).

CASTELLO DI VESIME

Pare che una leggenda locale parlasse di un tesoro ancora nascosto tra quelle mura, ma che nessuno l’avesse mai cercato a causa dell’aura sinistra che sovrasta il luogo.

Per approfondire: https://www.luoghimisteriosi.it/piemonte/vesime.html

mercoledì 16 marzo 2011

Il settimino di Incisa Scapaccino


Antonio Cacciabue detto “Tunen il settimino di Incisa”, personaggio emblematico, nato a Incisa Belbo (oggi Incisa Scapaccino) l’8 agosto del 1850 e ivi deceduto il 29 giugno 1929, è stato durante la sua vita un punto di riferimento importante per la popolazione dell’intera Valle Belbo, ma anche per quella  delle zone limitrofe.  Era un agricoltore, un uomo del popolo che riservava parte della giornata per ricevere i bisognosi che ricorrevano alla sua “medicina empirica”. La notte era dedicata alla preghiera. Egli infatti, si ritirava  in un cespuglio dietro casa e là, in contemplazione, pregava nostro Signore (diceva che Dio era il motore di ogni cosa, lo spiegava in dialetto con altri termini, ma il significato era quello), pregava la Madonna Virgo Potens  di cui era particolarmente devoto e altri santi come Sant’Antonio Abate, San Biagio, ecc. Dalla sua intensa Fede cristiana Tunen riceveva “un’energia particolare”, dalla quale originavano le facoltà assai poco comuni che gli permettevano di aiutare e, sovente, guarire la gente. Per valli e colline si  narra che già da bambino compisse prodigi di questo genere,  profusi per molto tempo,  cioè fino alla morte sopraggiunta  a settantanove anni. Per certo si sa che non si trattava di un guaritore che “imboniva” con subdoli artifici persone capaci di sviluppare solo ragionamenti semplici in quanto, all’epoca, nelle nostre campagne era ancora diffuso l’analfabetismo.
Nonostante siano passati quasi ottant’anni dalla sua scomparsa, il popolo non lo ha dimenticato; infatti, ogni persona  di quelle terre ha continuato a recarsi da Tunen, non più alla sua casa, o nei suoi campi dove lavorando li riceveva, ma nella cappella al cimitero di Borgo Villa a Incisa Scapaccino. Qui di fronte alla sua lapide, sempre adornata di fiori e di ceri votivi, la gente si inginocchia e gli parla dei propri problemi, talvolta alcuni gli scrivono lettere e poi le infilano nelle fessure del marmo lapideo,  dopo queste confidenze, ciascuno torna sui propri passi verso casa, si torna col cuore leggero perché si sa che Tunen un aiuto lo dà. È una certezza strana che si avverte ogni volta che si sosta davanti alla sua tomba, nell’istante in cui torna alla mente con insistenza quel «va’ ca’», una nenia dolce che pare giungere da lontano e ci segue, ci segue perché ormai è dentro di noi... Locuzione abituale con cui Tunen, quand’era in vita, congedava i suoi ricorrenti; «va’ ca’» significava: “vai tranquillo ora ci penso io.” Quando invece sapeva di non poter far nulla per il malcapitato, si scusava e lo avvisava che la sua “forza” non era sufficiente.
Il settimino di Incisa ha rappresentato per questa terra monferrina, angolo remoto del Mondo, un fenomeno culturale, e non solo, talvolta inspiegabile anche per un attento antropologo. È stato certamente un simbolo, un esempio di buon cristiano che in nome di Dio, della Vergine Potente e di alcuni santi, ha dispensato per tutta la vita aiuto al suo prossimo; lo ha fatto con umiltà, in cambio di nulla, ma, quando con insistenza gli si lasciava un obolo, lui andava a depositarlo nella mano tesa di un mendicante, o nella cassetta per le elemosine posta sul portale della chiesetta Virgo Potens  a  Borgo Impero.
Antonio Cacciabue detto Tunen, un contadino che vestiva abiti pesanti d’estate e leggeri d’inverno, che camminava scalzo nei fossati calpestando i rovi e le ortiche, che metteva sassolini nelle scarpe affinché la propria vita risultasse caratterizzata dalla sofferenza ad imitazione di Cristo, trovava sollievo nella preghiera e nella pratica dei Sacramenti poiché la sua via era tracciata dall’essenza sostanziale delle Virtù Teologali, le quali gli indicavano ogni giorno la meta. Traguardo identificato in una vita oltre la vita che già assaporava ogni notte, quando in estasi nel cespuglio dietro casa, parlava con Dio.

lunedì 28 febbraio 2011

'Gli animali hanno un'anima?' - servizio (registrato nell'astigiano) della puntata della trasmissione 'Mistero' su Italia 1 andata in onda il 22 febbraio 2011


Nella puntata di 'Mistero' (la trasmissione di Italia 1 condotta da Raz Degan) del 22 febbraio 2011, è andato in onda un servizio (di Daniele Bossari) sull'anima degli animali; Daniele Gullà e Mattia Mascagni, coadiuvati dalla sensitiva Enrica Brugo, studiano ed analizzano le fenomenologie legate alle apparizioni di animali fantasma; questi fenomeni riconducono al fatto che anche gli animali hanno un'anima.
Viene fatto un esperimento al "Giardino degli Animali", un cimitero per animali situato a Castell'Alfero, vicino ad Asti.

Inoltre nello stesso servizio viene menzionato il settimino vissuto a Incisa Scapaccino tra la seconda metà dell'ottocento e gli inizi del novecento, che aveva il potere di guarire persone e animali.

Ecco un'anteprima. Purtroppo, il servizio completo non è più reperibile sul web.



giovedì 17 febbraio 2011

Avvistamenti UFO, alieni e crop circles avvenuti nell'astigiano - Archivio storico


Ankhpakhered, un mistero tra Asti e l'Egitto


Una mummia, il suo sarcofago, una giovane egittologa. Il mistero di Ankhpakhered ha tutti i requisiti per appassionare i visitatori del Museo civico Archeologico e Paleontologico di Asti, dove la mummia dimora dal 1903 quando fu donata alla cittadinanza dal conte Leonetto Ottolenghi. Ma con l’Ankhpakhered mummy project, Sabina Malgora (curatrice della sezione egizia del Castello del Buonconsiglio di Trento) ha portato il reperto in giro per l’Europa in occasione di congressi, incontri di studi e mostre sull’antico Egitto.
Ad Asti se ne è parlato venerdì scorso, al Centro San Secondo. Malgora ha descritto il sarcofago, la “capsula del tempo” datata tra il 945 e il 715 avanti Cristo. Il sarcofago, stando ai geroglifici laterali, conteneva le spoglie di un sacerdote, Ankhpakhered, vissuto tra la XXII e la XXIII dinastia e dedito al culto del dio Min. La mummia che si trovava all’interno di esso però, è avvolta da un bendaggio troppo semplice, senza alcuna iscrizione nominale e priva del corredo di amuleti appropriato per un esponente della casta sacerdotale, a partire dallo scarabeo del cuore; tutto ciò, oltre alle molte fratture post mortem e alle ossa ritrovate in posizioni dislocate, lascerebbero pensare che la mummia ritrovata nel sarcofago non sia realmente quella di Ankhpakhered.
Così, uscita dalle pagine della Storia, la mummia astigiana, ha già iniziato a scrivere la propria piccola storia. E’ stata sottoposta a tomografia assiale computerizzata al Fatebenefratelli di Milano, per datarla e scomporla in 2950 immagini assiali che hanno reso possibile la ricostruzione in 3D svelandone la storia medica. Prima ancora era stata portata ad Aramengo, nel Laboratorio Nicola, per un restauro conservativo.
La mummia astigiana potrebbe per esempio essere stata creata ad arte da qualche antiquario del XIX secolo per riempire il sarcofago aumentandone il valore sul mercato, ma per adesso conserva gelosamente il suo mistero.
Forse lo si potrà sciogliere con altri esami, con un particolare tipo di endoscopia, che consentirà di analizzarne i resti senza sciogliere il bendaggio. Forse. Se si troveranno i fondi necessari a finanziare l'operazione.

Da http://www.gazzettadasti.it/content/2010-11-08/ankhpakhered-un-mistero-tra-asti-e-legitto
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